Onorevoli Colleghi! - Attualmente in Italia 4 milioni e mezzo di persone, giovani e anziani - sia nel settore privato che in quello pubblico - sono lavoratori precari, senza diritti e senza tutela.
      Negli ultimi anni il lavoro a tempo determinato si è esteso «a macchia d'olio» assumendo le fuorvianti diciture di contratto a termine, di «co.co.co.» e di contratto a progetto.
      Tutto ciò ha spogliato i lavoratori e le lavoratrici della dignità, impedendo loro di progettare il proprio futuro.
      Siamo ormai alle prese con una vera e propria «emergenza precarietà».
      Una «precarietà nel lavoro» - fatta di una moltiplicazione delle forme contrattuali che rendono insicuro il percorso del singolo - e una «precarietà del lavoro», intesa quest'ultima anche come frantumazione del ciclo produttivo e dell'impresa (terziarizzazioni, appalti, affidamento a terzi, eccetera). In un processo che, quindi, non condanna all'instabilità «solo» qualche milione di «co.co.co» o di lavoratori a termine, ma l'insieme del mondo del lavoro, a partire da quello subordinato a tempo indeterminato.
      È proprio in questa pervasività della precarietà - come condizione che non risparmia nessuno - che possiamo rintracciare l'aspetto più di fondo che ha attraversato il mercato del lavoro di questi ultimi anni (la «bussola» da avere sempre con sé, per non perdersi in questa mappa); causa ed effetto allo stesso tempo della crisi in cui l'attuale modello di sviluppo si dibatte.

 

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      Si «individualizza» il lavoro; si «svuotano» dall'interno i contratti collettivi nazionali; si «rompe» la catena del comando e quindi del confronto tra lavoratore e datore; si «contabilizzano» in termini economici i diritti fondamentali (diritto alla pensione, alla copertura assicurativa, al riposo, alla malattia); si azzera la capacità di critica e di organizzazione collettiva dei lavoratori; si «svuotano di senso» (e di efficacia) i luoghi collettivi e di cittadinanza (scuola, sanità, trasporti, energia) secondo una concezione minima e selettiva dello Stato (solo negli enti locali e nella sanità si contano 300 mila precari su 1 milione e 200 mila lavoratori a tempo indeterminato, con una crescita degli appalti affidati a soggetti esterni di circa il 55 per cento nel 2004).
      Si esercita, cioè, una particolare concezione della libertà: libertà tra eguali nel rapporto di lavoro (come se tra impresa e lavoratore vi fosse un rapporto paritario, di tipo «quasi commerciale», e non un rapporto diseguale come invece acquisito nella tradizione anche giuridica del novecento); libertà tra eguali nell'acquisire (se si hanno le risorse, però) i propri diritti di cittadinanza.
      Il lavoro e le politiche di cittadinanza (che concretamente camminano sulle gambe di uomini in «carne ed ossa») vengono quindi «neutralizzati» nella loro funzione di motori dell'emancipazione, di mobilità sociale verso l'alto, cristallizzando i rapporti di forza e le ingiustizie presenti.
      La presente proposta di legge raccoglie le proposte avanzate dal Comitato di cittadini denominato «Precariare stanca» e se ne fa portatrice in sede parlamentare, nella convinzione che contrastare la precarietà sia fondamentale per il futuro, economico e sociale, del nostro Paese e che tale contrasto debba essere il primo punto dell'azione di Governo dell'Unione e dei suoi parlamentari.
      Non si tratta solo di abrogare la legge n. 30 del 2003: si tratta di cambiare strada, di riscrivere le «regole del gioco» e dare ai lavoratori quegli strumenti per la partecipazione, quei diritti e quelle tutele che sono oggi la premessa per un futuro migliore.
      Nello specifico, con la proposta di legge:

          con l'articolo 1 si intende modificare il codice civile, affinché il mondo del lavoro sia riportato ad unità, dividendo chi presta la propria opera soltanto o in lavoratori economicamente dipendenti (cioè eterodiretti, comunque inseriti in un'organizzazione i cui guadagni non vanno interamente al lavoratore) o in lavoratori autonomi (cioè imprenditori veri, liberi professionisti, eccetera), così da estendere ai primi le tutele ed i diritti dei lavoratori subordinati a tempo indeterminato (diritti sindacali, contratti collettivi nazionali, ammortizzatori sociali, statuto dei lavoratori, eccetera);

          con l'articolo 2 si intende garantire ai lavoratori con contratti non a tempo indeterminato (indipendentemente da come si chiamano) un trattamento economico superiore rispetto a quanto previsto per i lavoratori a tempo indeterminato, anche tramite maggiori versamenti previdenziali e assicurativi. Solo così - facendoli «costare» di più - sarà possibile distinguere tra reali esigenze delle imprese, reali esigenze eccezionali e particolari e «truffe» vere e proprie (per cui, ad esempio, si assume la segretaria o l'operaio ordinario a progetto solo per risparmiare). Nella nostra proposta, la maggiorazione dei contributi a carico dell'impresa servirà a garantire continuità di reddito a lavoratori con contratti discontinui. Inoltre, proponiamo norme per evitare che si possa ricorrere a contratti a termine più volte di seguito, con obblighi di assunzione a tempo indeterminato in caso di reiterazione dei contratti;

          con l'articolo 3 proponiamo una nuova definizione civilistica del contratto di associazione in partecipazione al fine di favorire un corretto utilizzo di tale contratto, troppo spesso utilizzato per mascherare prestazioni di lavoro subordinato;

          con l'articolo 4 si intende aggiornare la nozione civilista di appalto, garantendone una maggiore genuinità;

 

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          con l'articolo 5 si intende novellare l'attuale norma del codice civile inerente i trasferimenti di ramo d'azienda, allargandone la tutela a qualsivoglia esternalizzazione, appalto interno, eccetera, introducendo altresì nel nostro ordinamento il principio per cui il datore di lavoro che «cede» lavoratori a un'altra impresa è comunque responsabile per un periodo non inferiore a 48 mesi del mantenimento di tutti i diritti dei lavoratori ceduti. Così - insieme a una modifica della definizione di appalto che proponiamo - si potrà veramente distinguere tra cessioni o esternalizzazioni fatte per aumentare la qualità dell'impresa, farla crescere e specializzare e una «semplice» speculazione per ridurre diritti e costo del lavoro;

          con l'articolo 6 si delega il Governo ad adottare apposite norme, nel rispetto della disciplina generale, per la stabilizzazione dei numerosi precari presenti nelle pubbliche amministrazioni, negli ospedali, nelle scuole, nelle università, nei centri di ricerca. In particolare, si delega il Governo ad emanare, attraverso percorsi di concertazione con le diverse istituzioni interessate e con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, nuove norme di riforma in materia di concorsi pubblici e di accesso alla pubblica amministrazione;

          come conseguenza dell'introduzione delle nuove norme, l'articolo 7 abroga le disposizioni vigenti incompatibili, in particolare il decreto legislativo n. 368 del 2001 e numerosi articoli del decreto legislativo n. 276 del 2003, attuativo della legge n. 30 del 2003;

          con l'articolo 8 si dettano le norme per la copertura dell'onere finanziario derivante dall'attuazione della delega di cui all'articolo 6.

 

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